KNOW HOW

questo grande sconosciuto

Il know how: questo grande sconosciuto

Quella sto per andare a descrivere è una situazione che definirei “tipo”, nel senso che potrebbe essere facilmente individuata in altri settori merceologici, lontani e con dinamiche diversissime rispetto a quello in cui si è venuta a creare.

Un imprenditore, che chiameremo Signor Rossi, ha una brillante idea: ha individuato un utensile innovativo ancora non presente sul mercato, che si potrebbe ottenere semplicemente applicando un metodo fino a quel momento utilizzato per produrre un altro prodotto. E per di più con un design accattivante e con un costo finale altamente contenuto.

Il Signor Rossi si è impegnato, ha studiato bene il prodotto. La sua idea è ben sviluppata.

Quello che gli manca è la possibilità di implementare il prodotto, il passaggio cioè alla sua industrializzazione.

Decide quindi di rivolgersi ad una società terza, la Pinco Pallino.

Già nel corso della prima riunione con la Pinco Pallino, il Signor Rossi descrive compiutamente la propria invenzione. Mostra disegni, calcoli e procedimenti…..insomma il frutto di tutte le sue ricerche.

D’altronde come ottenere un preventivo e far comprendere esattamente alla Pinco Pallino di cosa si sta parlando senza mettere tutte ma proprio tutte le carte in tavola?

Ovviamente il Signor Rossi non ravvisa la necessità di mettere “nero su bianco” che tutto ciò che viene rivelato alla Pinco Pallino è non solo frutto dei “suoi” sforzi, che è quindi di sua esclusiva titolarità e che soprattutto la Pinco Pallino non ha e non potrà mai accampare alcun diritto su di esso.

Il Signor Rossi, trasfonde tutte le sue idee e le sue energie nella realizzazione del prodotto, ne segue passo a passo la creazione,  e paga la Pinco Pallino per la sua attività (e la fattura riporterà una dicitura assolutamente generica).

Scontata la conclusione della vicenda: la Pinco Pallino si appropria dell’idea, deposita un brevetto per tutelare il procedimento per ottenere il prodotto, un altro per proteggere il prodotto ed un modello per tutelarne l’estetica.

E il Signor Rossi? Il Signor Rossi non avendo fatto firmare alla Pinco Pallino alcun documento in grado di provare l’oggetto, la quantità e la qualità delle informazioni che ha comunicato alla Pinco Pallino avrà delle serie difficoltà a dimostrare di essere stato “buggerato” e a veder restaurato il suo buon diritto.

Purtroppo, la vicenda sin qui descritta semplifica e forse banalizza una grave lacuna conoscitiva della maggior parte degli imprenditori.

A tutt’oggi, infatti, chi fa innovazione spesso non sa di farla e di conseguenza non si tutela.

Dal processo produttivo di un oggetto alla sua strategia di vendita: è lunga la serie delle informazioni  che per chi le detiene rappresentano un grande valore economico e per i concorrenti un indubbio vantaggio, se solo le potessero conoscere.

Eppure oggi le c.d. “le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali” sono espressamente tutelate dalla legge (e precisamente dall’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale).

L’importante è che siano “segrete”,che abbiano un valore economico per chi le detiene e che questi abbia messo in atto tutti gli accorgimenti necessari affinchè rimangano segrete ed inacessibili ai terzi.

Il segreto è dunque la leva attraverso cui proteggere i propri valori organizzativi e di avviamento che trovano, per l’appunto, nel segreto stesso il loro punto di forza.

Ecco allora le regole fondamentali per proteggere le informazioni riservate. Le misure di salvaguardia devono essere rivolte sia all’“l’interno” – verso dipendenti o collaboratori – che all’“esterno” – verso i terzi in generale, come i fornitori.

Ed in questo contesto la fanno da padroni le procedure.

Le procedure servono ad identificare le informazioni, a catalogarle, a salvarle nel modo corretto, a segretarle, a disciplinarne l’accesso e soprattutto ad evitarne l’abuso e la “fuga”, oltre che evidentemente a dimostrarne la paternità.

Ma non solo.

Un’adeguata “filiera dell’informazione” consente di poter prendere coscienza di avere un patrimonio da tutelare e di conseguenza anche valorizzare anche e soprattutto dal punto di vista economico.

Il primo problema è infatti la presa di coscienza di avere delle informazioni che hanno un valore, vi è poi la loro individuazione e poi la loro tutela.

E’ evidente che mancando le prime due, la terza non ci potrà mai essere.

Non bisogna infatti dimenticare che il know how, coinvolge tutti gli aspetti salienti di una società: dagli gli aspetti organizzativi, ai processi fino ai prodotti ed alla loro commercializzazione.

Dal processo produttivo di un oggetto alla sua commercializzazione, infatti, è lunga la serie delle

informazioni non brevettabili, sia per scelta o impossibilità.

Eppure queste informazioni, che possono essere tecniche o aziendali, per chi le detiene, lo si ribadisce, rappresentano un grande valore economico e per i concorrenti un indubbio vantaggio, se solo le potessero conoscere.

Ed ogni impresa possiede dei segreti generati durante la propria attività. La maggior parte delle imprese però, si rende conto della loro importanza soltanto quando il segreto non è più tale.

Senza contare che un minimo di “filiera dell’informazione” consente anche di avere il polso della propria situazione e mette anche in condizione di poter dimostrare che quell’informazione, quel risultato sia proprio e non del concorrente che magari lo ha acquisito tramite (esempio classico) l’assunzione di un proprio ex dipendente.

E’ quindi cruciale fissare dei paletti: stabilire un regolamento aziendale interno contenente istruzioni operative per mantenere la segretezza delle informazioni; stabilire strumenti idonei che consentano una limitata e censita condivisione interna delle suddette istruzioni operative; utilizzare protocolli di segretazione; fare formazione dei dipendenti o collaboratori ecc. sono solo alcune delle misure minime di cui bisogna dotarsi affinchè il know how si possa dire sotto il legittimo controllo di chi ne è titolare.

Contratti puntuali (siano essi lettere di intenti, accordi di segretezza o di non divulgazione) o esplicite clausole contenute ad esempio in contratti di collaborazione, subfornitura o appalto sono poi il giusto corollario per evitare brutte sorprese.

E’ sempre importante che venga definito “di chi è che cosa”, onde evitare di incorrere nella spiacevole esperienza del Signor Rossi.

Proprio attraverso questi contratti è possibile ottenere dalla controparte l’impegno alla non divulgazione o utilizzo di quanto da questa appreso in occasione delle trattative che precedono la conclusione di un contratto.
Tale tipo di impegno è utile, dunque, sia nel caso in cui ci si debba rivolgere ad un soggetto terzo per produrre un certo bene (si pensi al caso tipico di un contratto di subfornitura: il fornitore non può formulare la propria offerta ed il bene od una parte di esso non potrà essere prodotto senza conoscere dati che normalmente il potenziale acquirente non mette a disposizione di terzi) e sia nel caso in cui si intenda proporre ad altri un prodotto nuovo, ancora non brevettato o non brevettabile e che si voglia garantirsi che la propria controparte non se ne appropri in maniera illecita. E’ bene precisare che in questa fase le parti non sono ancora legate da alcun contratto, e le sole obbligazioni che potrebbero richiedersi sono quelle generali di correttezza e buona fede nelle trattative, sempre che si giunga ad un contratto definitivo.

Nel caso in cui non si giungesse alla conclusione di un contratto, il titolare delle informazioni non solo non potrebbe azionare alcuna leva in sua difesa ma anzi si troverebbe nella spiacevole condizione di non avere nessun supporto probatorio che attesti tanto la titolarità delle informazioni quanto la loro rivelazione, con la conseguenza che il terzo potrà utilizzare liberamente i dati acquisiti nel corso delle trattative.
È evidente allora la necessità di tutelarsi adeguatamente, dotandosi di un impegno autonomo, non legato alla conclusione del contratto finale e che contenga un esplicito riferimento alla quantità e qualità dei dati rivelati.
E ciò è ancor più vero se si pensa ai contratti internazionali:  senza un’esplicita previsione, ogni ordinamento coinvolto potrebbe infatti portare a conclusioni differenti quanto ad obblighi delle parti nel corso delle trattative, con il risultato di non poter essere sufficientemente tutelati.

Alessandra Fiumara

Avvocato in Milano

 

 

17 Febbraio 2020- Tutti i diritti riservati

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